di sangue, di folle vocianti.
Giunta l’ora spezzò il pane
“prendete e mangiate”
si cinse, lavò i piedi,
ma chi tradisce già intinge la mano.
Giuda si alza, la notte lo afferra.
“Sarò preso ed ucciso”.
Pietro con impeto azzarda:
sarà pronto a morire,
non sa, basterà un gallo che canti.
Uscito, se ne andò all’Orto degli Ulivi:
Dio prega Dio
delira nel sudore di sangue
il male del mondo dentro la carne
i soldati con spade e bastoni, il bacio
l’arresto, gli amici fuggiti
accusato, insultato
rinnegato tre volte, là nel cortile,
si defila Pilato
Erode che irride
in balia della marmaglia che schernisce, deride
spogliato, il flagello, le spine sul capo.
Se ne vuole la morte.
Liberate Barabba.
Pietro che piange la sua debolezza.
Giuda sgomento si appende.
Si annienta. E con lui l’utopia.
La Via Dolorosa
le sue orme di sangue lungo l’erta di sassi
il Cireneo esitante, la Madre,
Veronica, il suo velo, le donne pietose
sulla cima i chiodi aspri
la croce innalzata, il fiele, l’aceto
ai lati due infami, Dima salvato.
L’ultima sfida: ” Scendi dalla croce”.
“Padre, perdona loro, non sanno”.
Fra i patimenti e lo strazio, un tragico grido.
Giunta la sera, Giuseppe d’Arimatea
avvolse Gesù in un lenzuolo,
deposto nel sepolcro, se ne andò.
La favola conclusa
l’ora delle palme, degli osanna, sfiorita.
Non dava disturbo, Gesù:
per trent’anni quel che è di Cesare a Cesare
poi d’improvviso a pretendere
a Dio le cose di Dio.
Vogliamo Barabba.